Ogni volta che appare la notizia di una madre che compie un gesto di violenza estrema sul proprio bambino ci troviamo di fronte al dolore di una donna che stentiamo a comprendere.
Non è solo la tragica fine del bambino ad impressionarci, ma la contraddizione rispetto alla rappresentazione oggi predominante della maternità: un evento felice, dolce, molto idealizzato, in cui non risultano visibili fragilità, sofferenze, fatiche e conflitti.
Sono le madri, che in qualche modo riconoscono il senso di disperazione che ha guidato il terribile gesto, a rimanere più spaventate di fronte a queste notizie di cronaca. Uno spavento che nasce dal sentirsi per un attimo vicine a quella donna, dal riaffiorare di sentimenti ed emozioni provate dopo la nascita del proprio figlio, non ascoltate, non riconosciute, soffocate, ma mai del tutto dimenticate.
Rimane una parte nascosta ed inconfessata della maternità, che non ha spazio in una società in cui sono prevalenti approcci medicalizzati al parto e sono sottaciuti altri aspetti, legati alle emozioni, ai vissuti, alle contraddizioni, alle paure.
Si ritorna, quindi, al motivo per cui ho deciso di creare questo blog, ovvero per aiutare le future mamme e le neo-mamme a trovare la soluzione alle paure ed ai dubbi che affliggono in un periodo così delicato e per costruire un dialogo tra mamme ed aumentare la solidarietà che dovrebbe nascere naturalmente quando ci si trova nella stessa situazione.
Oggi si discute molto di anestesia nel parto (laddove si dovrebbe semmai parlare di analgesia): il “non sentire nulla” viene considerato un obiettivo importante, non sentire dolore, ma anche non “sentire” ciò che viene scatenato da un evento forte e complesso come la nascita, in cui due soggettività (la madre e il bambino) dopo aver abitato uno dentro l’altra, dentro il corpo, dentro la mente, dentro il cuore separano i loro corpi, ma mantengono un’interdipendenza che solo con il tempo evolve verso autonomie reciproche.
Le condizioni e i ritmi di vita attuali non facilitano certo questo difficile processo, mentre sono scomparse la famiglia allargata e le reti parentali che, pur a volte troppo vincolanti, riuscivano comunque ad offrire aiuti concreti, protezione e sostegno.
La donna si ritrova così a sperimentare la nuova funzione di madre in un contesto di isolamento, solitudine e smarrimento che a sua volta contribuisce ad aumentare lo stress, le ansie, i sentimenti depressivi, il senso di fatica fisica ed emotiva.
Non ultima la maggiore difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare dopo la nascita di un figlio: più di una donna su otto (il 13,5%) lascia il proprio impiego dopo tale evento e il motivo più ricorrente è legato alla percezione di non riuscire a gestire i bisogni del neonato ma anche, e drammaticamente, di non avere più momenti per sé, per percepire la propria soggettività di madre e di donna.
Il Convegno “Non solo madre. Non sola”, patrocinato dal Comune di Verona, dall’Assessorato Pari Opportunità e Cultura delle Differenze e dall’Associazione Nazionale Il Melograno che si terrà a Verona il 10 novembre 2006, vuole dare risonanza a queste tematiche ed aprire uno spazio di riflessione partendo da una lettura dei gesti estremi di alcune madri come la punta di un iceberg di grandi dimensioni che coinvolge tutte le donne.
Vuole offrire spunti per capire e dare voce ai diversi aspetti che compongono oggi per una donna il diventare madre. E da qui pensare poi a nuovi servizi che possano accompagnare e sostenere questo processo. Nuovi nei contenuti e nelle metodologie, perché fondati sul riconoscimento della complessità e della soggettività individuale, sull’accoglienza dei vissuti emotivi e soprattutto sul coinvolgimento attivo delle persone, sulla condivisione delle responsabilità e sulla promozione della solidarietà sociale.
Il convegno è rivolto ad operatori che lavorano nei servizi sociali, sanitari ed educativi, agli amministratori pubblici e a quanti si occupano di programmazione sociale. Però l’argomento mi sembra assolutamente valido e, in questo spazio, se volete potete scrivere qualche commento per approfondire il discorso.
Ho trovato alcune informazioni interessanti sulla figura della Doula (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Doula ) che secondo me dovrebbe essere “fornita” dal servizio sanitario pubblico e personalmente a me avrebbe fatto piacere avere, come anche un’ostetrica che ti venga a casa a vedere e a dare una mano per i primi tempi. In Danimarca le primipare possono godere fino a 5 giorni di assistenza ospedaliera mentre qua ti sbattono fuori senza neanche essere sicuri che stai bene con la scusa che il parto deve essere demedicalizzato…Sempre in Danimarca ti mandano l’ostetrica a controllare che tutto proceda per il meglio. In Italia viene dato tutto per scontato, si preoccupano di far nascere il bambino e non esiste il concetto di assistenza puerpuerale. La madre si deve arrangiare da sola contando sui parenti o pagando qualcuno, cosa che chiaramente non tutti possono permettersi.
In questo sito ho trovato molti spunti interessanti, mi piace. Vorrei contribuire a mio modo: ho scritto qualcosa che vuol essere di aiuto e sostegno per chi si è trovato ad affrontare il post partum con qualche difficoltà: perchè di aiuto e comprensione non ce n’è mai abbastanza.
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Nasce un bimbo. Tutti sono felici, raggianti: complimenti, regalini, visite, fiori. Sei una regina.
Sei ancora in ospedale e non vedi l’ora di tornare a casa ed occuparti del tuo cucciolo. Arriva il momento di uscire e forse piano piano si insinua in te una strana sensazione. Stai lasciando un posto protetto. Lì, in fondo, per ogni cosa puoi chiedere aiuto, spiegazioni, non hai da occuparti della casa, ma solo pensare a te e a rimetterti in piedi e a dare il latte al tuo piccolo. Quando arriverai a casa sarà diverso. Oh, beh, normalmente succede che passi qualche giorno da tua madre, così qualcuno può occuparsi di te. Oppure lei sta da te. O una sorella, un’amica, una cugina. Oppure il tuo partner è così bravo da fare lui solo tutto quello che serve. Oppure te la devi cavare da sola.
Indipendentemente da queste condizioni, quella sensazione potrebbe rimanerti. Avere un figlio è il più grande sconvolgimento della vita, finchè non succede non te ne rendevi conto e non è tutto così bello a volte: non dormire la notte, non avere più tempo per sé, l’allattamento a tutte le ore, cambiare stile di vita, vacanze diverse, tutto deve essere un minimo programmato e via dicendo…….Allora ti prende una sensazione di soffocamento. Pensi di aver perso la tua vita e che non potrai più tornare indietro. Magari ti senti anche le gambe o le braccia deboli e hai la sensazione di non riuscire a tenere in braccio il tuo piccolo. Pensi al futuro e ti viene la nausea. Diventi nervosa, aggressiva, piangi sempre, mangi troppo, o non mangi più, vorresti dormire, magari sparire per sottrarti a questa realtà che ti ha travolto nel giro di un’ora. Ma perchè?
La motivazione più ovvia è che sei molto stanca.
Magari potrebbero anche esserci dei problemi relazionali, dei disaccordi, le nonne gelose che si litigano il nipotino, oppure un partner che si sente trascurato e diventa invece che un aiuto, un’ulteriore fonte di stress.
Alla base di tutto però il problema è causato dagli ormoni: c’è un forte squilibrio che provoca tanti fastidi, sia fisici sia psicologici, hai presente la sindrome premestruale? Ecco, moltiplicala per 100. Sei comunque più sensibile, più fragile, tutto pesa di più, tutto ti ferisce, a volte basta una sola parola. A volte non hai la forza di ribellarti a situazioni che qualche mese prima avresti sistemato con uno schiocco di dita. E questo ti fa sentire ancora peggio.
A questo punto accetta un consiglio: non rimanere nell’ombra. Non rimanere sola. PARLA. Parla.Parla con chiunque pensi possa capirti: un’amica fidata, tua madre, un’altra mamma…..Sii sincera, scarica il tuo peso, fai in modo che qualcuno sia al corrente della situazione, non avere paura a rivelare cosa provi: parlare è la più grande valvola di sfogo per la tua frustrazione, sfogarsi è meglio che covare, nascondere, far finta che vada tutto bene: non bisogna tenersi tutto dentro,perchè possono succedere brutte cose alle mamme e ai bambini e ne vediamo ultimamente troppo spesso.
Poi, chiedi aiuto. Il tuo medico, il pediatra (non hai scuse, lì devi andare per forza – per i controlli al piccolo) sapranno indirizzarti. Non è necessario spendere soldi. I consultori, le ASL, offorno un supporto psicologico gratuito e magari nella tua città esistono anche dei gruppi di mamme che si incontrano per darsi una mano a vicenda. A Milano alla clinica Mangiagalli c’è un centro apposito per dare supporto (purtroppo l’unico in Italia, ma in altre città ci sono comunque psicologi molto bravi).
A proposito, togliti dalla testa che chi va dallo psicologo sia malato: anzi, ammettere di aver bisogno di aiuto significa essere lucidi.
E allontanati da coloro che ti dicono: su su non esagerare, devi pensare al bambino, non ti devi lamentare, è il tuo dovere, tutte le donne ci sono passate e altre cose del genere. ALLONTANATI. Sono persone che non ti possono aiutare.
Il benessere di tuo figlio passa INDEROGABILMENTE attraverso il tuo benessere e pertanto tra i tuoi doveri c’è anche quello di stare bene. E liberati dalla sindrome della mamma perfetta: prima di tutto sei un essere umano. Svagati come puoi. Porta fuori il tuo piccolo, vai a trovare gli amici, alre mamme, portalo con te a vedere i negozi e se piange fregatene di chi ti guarda male: o non sa o ha dimenticato cosa significhi avere figli.
E trova tempo per te. Accetta ogni tipo di aiuto che ti viene offerto per la casa e per il bambino. Non ci crederai, ma la stanchezza fisica in queste condizioni può abbatterti più del dovuto.
Cerca di rendere piacevole la tua vita, a partire dalle piccole cose.
Fai in maniera che i tuoi sacrifici non debbano pesare un giorno su tuo figlio come un debito di gratitudine: lui non te li ha chiesti; potrebbe invece voler crescere accanto ad una mamma serena e soddisfatta, che è molto meglio.
Non temere di sembrare debole, non lo sei: hai dato vita a tuo figlio, ricorda.
Ti dicono che rompi? Mandali a quel paese. Una mamma deve essere felice: non c’è posto per l’egoismo altrui.
E guai, guai a chi fa soffrire una neo-mamma.
E’ proprio così…
chiedo anche: ma può succedere che dopo una depressione
post partum avvenuta 6 anni fa, si possa ancora stare
male e soffrire di nuovo esattamente come all’ora nel rivi
vere le proprie difficoltà dopo avere appreso il parto di
una parente?
Come mai può riaffiorare in un istante il disagio provato e
l’invidia perchè a te è successo ed ad un altra persona no?
Hai proprio ragione Marzia! Una mia amica purtroppo sta passando un brutto esaurimento adesso che la figlia va alla scuola elementare e la psicologa le ha confermato che si tratta di “strascichi” dovuti alla depressione post parto… Se leggi il post: https://www.unamamma.it/2007/01/29/depressione-post-parto-un-aiuto-in-piu/trackback/, potrai vedere come ci siano tante donne in qs. triste situazione! L’importante è non fingere e cercare di nascondere il problema perchè i fantasmi putroppo ritornano e sono sempre più cattivi! Un bacio