In coaching le parole utilizzate per parlare o anche per formulare i nostri pensieri hanno una grandissima importanza: dal modo in cui pensiamo, scaturiscono le nostre azioni e i nostri comportamenti.
Oggi la nostra Life Coach Carla Malinverni vi parlerà dell’enorme differenza tra l’utilizzare il verbo ’essere’ e il verbo ‘fare’, anche se di primo acchito potrebbe sembrarvi una discussione bizzarra.
“Per cultura ed educazione, siamo portati a identificare ciò che siamo con ciò che facciamo (‘sono un’impiegata’, ‘sono una brava cuoca’, ‘sono sportiva’….), confondendo a volte il significato dei due aspetti. Riportare il nostro punto di vista dall’essere al fare, può aiutarci a vedere secondo un’altra prospettiva le situazioni e a viverle con maggiore serenità. Vi faccio un esempio: se vi siete dimenticate di preparare il panino per la gita di vostro figlio, potrete pensare:
– ‘SONO una pessima madre’
oppure
– ‘HO COMMESSO una dimenticanza, HO FATTO un errore’.
Il primo pensiero, colpevolizzante, vi dà una visione ‘chiusa’ della situazione: non avete altra scelta che dispiacervi e rimproverarvi. Il pensiero declinato sul fare, vi fornisce una visione della situazione aperta a porvi domande e magari anche a risolvere:
– ho sbagliato: che cosa posso fare per rimediare?
– che cosa mi propongo di fare per la prossima volta, per non ripetere lo stesso errore?
– come mai ho dimenticato questa cosa?
Se espressa sul ‘fare’, una situazione negativa viene vissuta come errore da cui imparare per il futuro e non come un fallimento personale!
Allo stesso modo, quando verbalizziamo un pensiero negativo a qualcun altro è bene che sia espresso su quello che ha fatto e che non sia un giudizio sulla persona. Così, se vostro figlio si è comportato male, non è produttivo usare termini quali ‘SEI un bambino cattivo!’, che non lasciano modo di riparare; dire ‘HAI FATTO una cosa sbagliata e non voglio che tu la rifaccia un’altra volta!’, contestualizzando anche il perché ritenete che quella cosa sia sbagliata, fornisce al bambino la possibilità di comprendere e di decidere di fare diversamente, senza sentirsi ‘marchiato’ come un bambino che è nato con un’indole malvagia.
Provate, se vi va, a fare allenamento linguistico, riformulando sul ‘fare’ i pensieri che solitamente declinate ‘sull’essere’. Pensate alla differenza tra le emozioni che provate a lavoro se qualcuno vi dice, di fronte ad un vostro errore, ‘sei un’incapace’ piuttosto che ‘hai sbagliato a compilare la parcella del sig. Rossi’.
Siete pronte a cambiare parole per esprimervi? Secondo me, otterrete risultati migliori!”