Cari genitori,
i vostri figli si sono mai trovati nella condizione di passare molto tempo sui libri ma di non ottenere risultati scolastici commisurati all’impegno dedicato nello studio?
Questa situazione potrebbe essersi verificata perché vostro figlio non ha un corretto metodo di studio e quindi spreca un gran numero di risorse applicando una strategia (per esempio fare i riassunti) che non è congeniale per lui, per il suo funzionamento cognitivo, con il rischio peraltro di ottenere scarsi risultati scolastici ed innescare un processo di demotivazione nei confronti dello studio in generale. Ecco perché molti bambini e ragazzi arrivano ad un punto in cui decidono di non studiare più perché “tanto anche se studio prendo un brutto voto”.
Ma cerchiamo innanzitutto di spiegare cos’è il metodo di studio. Per “metodo di studio” non s’intende soltanto la conoscenza di un insieme di strategie, ma anche, e soprattutto, l’abilità e la flessibilità nell’adottare differenti strategie alle diverse situazioni e materie. Ciò è possibile solo se alla base esiste una profonda conoscenza del proprio stile cognitivo e delle modalità di apprendimento delle informazioni. Solo in questo modo le risorse vengono impiegate facendo leva sui propri punti di forza (intelligenza, creatività, ragionamento per immagini, visione d’insieme…).
E’ sbagliato, dunque, pensare che lo stesso metodo di studio vada bene per tutti gli studenti indistintamente. Un bambino o ragazzo con DSA, per esempio, rispetto ai coetanei normolettori non può permettersi di leggere più volte il materiale da studiare, fare riassunti e rileggerli prima delle verifiche, ed è quindi fondamentale che trovi il suo metodo di studio.
In un mondo ideale, quindi, a scuola l’insegnante dovrebbe far esplorare ai propri alunni diversi stili di apprendimento e cognitivi, nell’ottica di una costruzione condivisa delle conoscenze; questo lavoro però spesso non è attuabile per mancanza di risorse e di tempo.
Pennac (2008) spiega bene questo concetto: “Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia”. Per trovare l’armonia descritta da Pennac, è necessario conoscere e valorizzare i diversi stili di apprendimento che ognuno di noi utilizza in maniera preferenziale.
Facciamo un esempio: se un ragazzo scopre di apprendere meglio attraverso il canale visivo, non verbale, studiare attraverso l’utilizzo di riassunti o elenchi puntati, sfruttando dunque le abilità di letto-scrittura sarà molto complicato per lui, al contrario, avrà una preferenza verso l’utilizzo dei disegni, delle mappe concettuali e del colore.
Questa situazione la ritroviamo ancora più vivida in un ragazzo dislessico in cui il suo disturbo condiziona inconsapevolmente la preferenza dello stile di apprendimento, costringendo la persona a passare ad un altro stile o a fallire miseramente nelle materie di studio. Solitamente, invece, le informazioni che passano dal canale visivo vengono processate molto bene, possono inoltre avere buone capacità uditive che se potenziate, possono essere sfruttate al meglio , per esempio attraverso il potenziamento di strategie di lettura attiva con le orecchie.
E’ dunque importante affidarsi ad un tutor che possa lavorare in tal senso con vostro figlio, perché divenire consapevole del proprio stile è l’unico modo per raggiungere un “apprendimento significativo”.