Bambini che tardano a parlare e balbuzie

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Un ritardo nel linguaggio non rappresenta per forza un deficit del bambino, molto spesso si tratta solo di un bimbo “pigro” o poco stimolato. E’ quindi fondamentale coinvolgere i nostri figli parlando loro e lasciandoli provare ad esprimersi. I bambini, dopotutto, non comunicano solo con le parole!

Lo sviluppo del linguaggio segue un percorso caratterizzato da varie fasi che non sono uguali per tutti. Mai fare paragoni tra bambini! Su niente: quando iniziano a parlare, a camminare, ecc. I bambini presentano tempistiche differenti.

Allora, prima di preoccuparsi, se il vostro bambino non parla, dovreste valutare con attenzione le sue capacità di comunicare, se riesce a spiegarsi in altri modi, ma anche le sue potenzialità di capire e l’interesse che dimostra verso l’ambiente che lo circonda. Sorrisi, smorfie e gesti sono modalità comunicative spesso più eloquenti della parola.

I bambini passano dalla ripetizione di semplici monosillabi all’esposizione di frasi complesse seguendo varie tappe.

Fase prelinguistica dai 6 ai 12 mesi.

In questo periodo compaiono i primi suoni tipici dei piccoli chiamati lallazione, cioè la ripetizione di consonante-vocale (bababa, lalala, papapa).

Fase linguistica dai 12 mesi circa.

I bambini hanno sviluppato un repertorio di suoni e sono pronti a parlare. Nel corso di questa fase i bambini creano un loro primo vocabolario, costituito da circa 50 parole.

Fase lessicale tra i 17 e i 24 mesi.

Il vocabolario dei bambini comincia ad ampliarsi e può raggiungere anche le 300 parole.

I bambini che tardano a parlare possono essere “pigri”: capiscono che le loro richieste vengono esaudite anche senza bisogno di aprire bocca. Per cui è importante evitare di anticipare sempre e comunque i loro desideri, soddisfacendoli ancora prima che vengano espressi. La stessa cosa avviene nei bambini che tardano a camminare perché sanno gattonare benissimo e, riuscendo a raggiungere qualsiasi cosa, non hanno necessità di fare uno sforzo in più!

Anche l’ambiente familiare esercita un ruolo significativo sullo sviluppo del linguaggio dei bambini: se gli adulti si esprimono a monosillabi, limitandosi a rispondere alle domande dei bambini con un sì o un no, non c’è da stupirsi se il loro vocabolario sarà decisamente povero. Al contrario, bambini che vivono in famiglie con genitori, fratelli o sorelle che parlano molto risultano più precoci e chiacchieroni.

Il carattere dei bambini può influenzare le tempistiche del linguaggio: a volte i bambini sono semplicemente timidi e, tacendo, esprimono un loro modo di essere, di differenziarsi dagli altri. In questo caso il nostro compito è quello di non forzarli, lasciando loro la libertà di esprimersi quanto e come meglio credono. Non dire loro che sono timidi, mettendoli ancora di più in difficoltà ed evitando (questo sempre!) di fare confronti con gli amichetti/fratelli.

Quando i bambini si sentono pronti e sicuri si se’ mostreranno le loro capacità di comunicare attraverso un linguaggio ben articolato.

A volte i nostri piccoli fanno fatica ad esprimersi e la loro pronuncia è imperfetta. In questi casi basta aspettare, evitare pressioni o inutili insistenze: all’improvviso i bambini ci sorprenderanno e ci renderemo conto, inaspettatamente, che possiedono un vocabolario ricco e ampio. Ciò che conta realmente è capire se i nostri bambini rispondono agli stimoli che li circondano e se interagiscono con gli altri.

Non dobbiamo correggere gli errori che compiono durante le loro sperimentazioni, insistendo su un loro miglioramento: con questo atteggiamento non solo riduciamo la libertà di provare, ma rischiamo di bloccare la loro spontaneità.

In ogni caso, se i bambini non parlano o presentano un vocabolario piuttosto ridotto in relazione alla  loro età, è legittimo porsi delle domande, senza però ingigantire il problema. Risulta opportuno approfondire le ragioni di tale ritardo parlandone inizialmente con il pediatra e successivamente, se necessario, con uno specialista di disturbi del linguaggio (logopedista).

È fondamentale tenere a mente che i bambini agiscono per imitazione, quindi preoccupiamoci un po’ meno e parliamo un po’ di più. Abituiamoci a fare con loro piccoli discorsi, senza preoccuparci che non capiscano o se non rispondono: i nostri bambini impareranno con più facilità a comunicare, utilizzando parole e frasi sempre più complesse. Se non vengono stimolati e coinvolti all’interno dello scambio linguistico il rischio è che in loro possa subentrare svogliatezza e pigrizia.

Un disturbo del linguaggio che può essere provocato da fattori psicologici è la balbuzie, che presenta un disordine nel ritmo della parola. Chi ne è affetto sa bene che cosa vorrebbe dire ma la sua parlata è ostacolata da numerosi arresti involontari.

La prima forma di balbuzie è assai frequente nei bambini al di sotto dei tre anni che prolungano o ripetono le sillabe; nella maggior parte dei casi tende a risolversi con il tempo. Il segnale d’allarme scatta quando la balbuzie continua in modo marcato al di sopra dei quattro anni. In questo caso i blocchi e i prolungamenti delle sillabe sono più frequenti.

La balbuzie a questa età è spesso accompagnata da ansia o da sintomi somatici come i seguenti:

– enuresi;

– ritardo nelle competenze motorie;

– forte ansia e aggressività;

– disturbi del sonno;

– disturbi dell’ alimentazione;

– paura del buio;

– eccessiva dipendenza dai genitori;

– rifiuto di andare all’ asilo o a scuola;

– scarsa fiducia in se stessi e autostima.

La balbuzie può esprime un’aggressività che viene bloccata e “taciuta” dal bambino o ancora può rappresentare una “strategia” che il bambino involontariamente mette in atto per ricevere più affetto e considerazione dai genitori. I fattori che la causano sono diversi e dipendono dalla storia individuale di ogni singolo bambino che ne è affetto. È interessante però notare che i blocchi del linguaggio non si presentano mentre il bambino gioca da solo o canta: questo porta a pensare che la balbuzie sia strettamente legata alla vita affettiva e familiare del bambino.

Può capitare  ad esempio che la balbuzie compaia quando a un bambino viene richiesto di crescere troppo in fretta e i genitori riversano sul piccolo delle aspettative troppo alte, per esempio quando nasce un fratellino o nel caso di separazione. In questo caso vi consiglio di seguire il ritmo del bambino, rallentando ogni ciclo/progetto della famiglia e tranquillizzandolo, chiedendo aiuto anche ad uno specialista (logopedista) per avere anche solo dei suggerimenti su come comportarsi.

3 Commenti

  1. Ciao a tutte,
    il mio bimbo ha 18 mesi e non parla……
    Ieri sono stata dal mio pediatra a fare un semplice bilancio di salute e lui mi ha detto che è tutto nella norma.
    L’importante è che i bimbi capiscano il significato di quello che diciamo noi.
    il mio piccolo sa benissimo cosa dico, cosa voglio e cosa non voglio, è soltanto pigro….vi dico solo per farci un esempio che l’altra sera guardavamo un film e io gli ho detto “Andrea guarda un folletto” e lui mi è andato a prendere l0aspirapolvere(il folletto appunto)….oppure se si parla e dico”devo andare a fare la doccia”mi prende per mano e mi porta in bagno sotto la doccia.
    nel libro delle figurine gli chiedo dove sono le penne, il libro, la frutta e tutte queste cose e lui le indica tutte in maniera giusta.
    Il problema è che io sono a casa con lui, ogni volta che fa un verso capisco perfettamente cosa vuole e lo accontento.
    Il pediatra mi ha detto ieri che è sbagliato, che devo aspettare finche’ ce la faccio e tentare di fargli dire cosa vuole.
    Comunque mi ha anche detto che appena andra’ all’asilo comincera’ a parlare non perche’ lo sappia fare ma semplicemente per spirito imitativo dei bimbi che lo fanno gia’.
    Le uniche parole che dice sono mamma e babbo.
    Quindi, in breve, non preoccupiamoci come dice l’articolo in forma meravigliosa, se i nostri bimbi non parlano, quando capiscono il significato delle nostre parole significa che sono solo maledettamente “pigroni e polentoni”.
    Un bacio a tutte le mamme e a unamamma e unamammabis.
    Claudia

  2. Ciao Claudia, già ti vedo da mamma super premurosa che appena il tuo ometto ti guarda ti capicolli ad accontentarlo 🙂 vorrei davvero vederti!! Anzi, potessi fare lo stesso anch’io con qualcuno!! Farei gli occhi dolci e viaaa…subito un bicchiere d’acqua, qualcosa da mangiare, un gioco per divertirmi un po’!
    Guarda che i bambini sono furbi, ne sanno una più del diavolo e il tuo ti ha già inquadrato 😉 Tra se’ dirà “Questa la frego quando voglio!” Ah, ah!!!
    Un abbraccione grande a tutti e tre.

  3. – Claudia, che bello avere tue notizie! Sn d’accordo con Giuliana: Andrea è un ometto furbo! Mandaci qualche foto! Mi raccomando!

    – Cmq, per tornare al discorso del post, io dico che certe segnalazioni di probabili ritardi nel parlare, devono partire dalle insegnanti, soprattutto alla scuola materna. Mio figlio, infatti, all’asilo aveva difficoltà nel pronunciare certe consonanti e sotto suggerimento delle sue maestre l’ho mandato dalla logopedista, proprio per evitare poi disagi alla scuola elementare. A volte, invece, noi genitori facciamo come gli struzzi e non vogliamo affrontare certe cose…Per questo bisogna avere il coraggio di ammettere che ogni bambino è diverso e non bisogna certo vergognarsi se uno parla prima o dp. Come per il discorso dell’imparare a camminare, del dormire, del mangiare, ecc. ecc.

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