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Una scuola materna “senza genere”

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Ne avevamo già parlato qualche tempo fa, ma si trattava di una coppia canadese, convinta a crescere i figli senza genere, dando loro nomi neutri e non trattandoli da maschi o femmine, ma lasciando loro la scelta di decidere a che sesso appartenere da grandi.

Ora invece siamo in Svezia, celebre per la sua mentalità egualitaria, dove l’asilo Nicolaigarden è uno degli esempi più convincenti dei passi avanti fatti dal Paese per consolidare le pari opportunità, tanto che il modello ha avuto così successo che due anni fa tre degli insegnanti hanno aperto una succursale chiamandola Egalia, per sottolineare il tema dell’uguaglianza.

Nella biblioteca della scuola sono presenti poche fiabe tradizionali con i soliti stereotipi maschili e femminili: ricerca dissennata del principe azzurro, ecc; ma ci sono molti racconti i cui protagonisti sono genitori single, figli adottivi o coppie dello stesso sesso. Le bambine non vengono spinte a giocare con cucine/bambole e i mattoncini del Lego non sono considerati solo giochi per maschi.

Quando, nel 1998, il Parlamento svedese approvò la legge secondo cui le scuole dovevano garantire pari opportunità a femmine e maschi, gli insegnanti del Nicolaigarden presero l’insolita iniziativa di filmarsi, documentando il modo di comportarsi con i bambini. “Notavamo molte differenze nel modo di interagire con i maschietti o con le bambine“, ricorda Lotta Rajalin, che dirige l’asilo, come leggo nell’articolo de La Repubblica della scorsa settimana. “Se un bambino piangeva perché si era fatto male, veniva consolato per un tempo più breve“. Se i bambini erano turbolenti la cosa veniva accettata, se una bambina cercava di arrampicarsi su un albero veniva fermata. Il risultato è diventato un programma di sette punti, uno dei quali è “Evitiamo di usare parole come bambino o bambina. Preferiamo usare il nome, oppure diciamo “andiamo, ragazzi!”“. Alle docenti, tutte donne, si sono uniti alcuni uomini.

Ma sono arrivate anche le critiche a questa specie di “lavaggio del cervello” già all’età di 3 anni.

A me sembra che portino all’estremo una situazione che può essere capita ed eventualmente contestata solo dagli adulti, mentre i bambini a quell’età non hanno ancora delle idee precise. Ma non per quello non si deve dar loro un orientamento. Cosa ne pensate?

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