Durante le vacanze di Natale leggevo tutte le mattine La Stampa con mia figlia di 8 anni (articoli “selezionati“) ed abbiamo trovato un pezzo che, analizzato con cura, ci ha fatto venire tante curiosità: Bambini in coda dallo psicologo tra ossessioni, rabbia e ansie.
Si basa su un’indagine fatta presso il Dipartimento Neuro Psichiatrico Infantile dell’Azienda Sanitaria Locale torinese, che, nel 2012, ha avuto in cura oltre 10 mila pazienti: bambini e adolescenti “difficili” che soffrono di disturbi tipo ansia, depressione, anoressia, ma anche soltanto bambini fragili, tristi, arrabbiati, timorosi, indisciplinati, iperattivi.
Sono stata all’ASL 1 ed ho verificato di persona che gli specialisti lavorano benissimo, accogliendo e facendo sentire i bambini a proprio agio, ma soprattutto aiutandoli a risolvere i loro problemi. L’iter è il seguente: prima di tutto la neuropsichiatra incontra il bambino con i genitori per conoscersi e, dopo aver parlato a lungo con mamma e papà, interagisce con il piccolo per verificare che non esista un problema neurologico. Seguiranno vari incontri della psicologa solo con i genitori per sapere tutto del bambino (dalla gravidanza in poi), della mamma e del papà (di che genitori sono e di che figli erano). Per poi passare agli incontri della psicologa a tu per tu con il bambino, durante i quali grazie a test, disegni, giochi, racconti, cercherà di farlo “aprire”. Poi il piccolo incontrerà la logopedista e, infine, ci sarà un incontro per spiegare ai genitori come comportarsi per venire incontro agli atteggiamenti negativi del figlio. Lo stesso incontro avverrà tra le specialiste e gli insegnanti, per chiedere anche a loro aiuto per risolvere i disturbi del loro allievo.
Ma come spiegare a un bambino che lo si porta dallo psicologo?
Prima di tutto non bisogna “vergognarsene“ di fronte ad amici e parenti, perchè quello che si sta iniziando non dev’essere visto come un tabù, ma come un percorso che aiuterà la persona che amate di più a superare un disagio.
Bisogna dire la verità al bambino perché, sentendosi capito e supportato da mamma e papà, possa affrontare sereno il momento di conoscenza con lo psicologo.
Lo specialista avrà in studio materiali per disegnare e giochi: animali, bambole, costruzioni, oggetti di uso quotidiano (ad esempio pentolini, piatti e posate, oppure il cellulare), giochi strutturati, macchinine, riproduzioni di armi per aiutare il bambino ad esprimersi. Più piccolo è il bambino, infatti, più la componente verbale è mancante nell’interazione con lo psicologo.
A volte, inoltre, sono le questioni dei genitori a ricadere pesantemente sui figli (separazione conflittuale, lutto, familiare gravemente malato), e allora l’intervento dello psicologo potrà avere una funzione preventiva: non si aspetta che il bambino manifesti un disagio specifico, ma si interviene a monte. In casi simili, deresponsabilizzare il bambino, può agevolare la sua alleanza con lo specialista.
In ogni caso un bambino, circa dai 2 anni in poi, può essere in grado di entrare da solo nello studio dello psicologo, ma ciò è collegato in gran parte dal sentirsi emotivamente supportato da genitori: se un figlio inconsciamente sente in qualche modo di tradire i genitori o avverte il loro timore, allora farà molta fatica ad affidarsi allo specialista e chiederà di essere accompagnato fin dentro lo studio. Spesso può invece bastare la rassicurazione del fatto che il genitore rimanga nella sala d’aspetto, a disposizione nel caso il piccolo senta il bisogno di assicurarsi della sua presenza, per poi tornare in stanza da solo.